Kosovska Mitrovica: il Kosovo diviso anche nei souvenir

Kosovska Mitrovica: il Kosovo diviso anche nei souvenir

Da una parte i serbi, dall’altra gli albanesi. E i turisti? Neanche l’ombra. Ma a chi vengono venduti i souvenir del Kosovo?

Kosovska Mitrovica è il capoluogo del Kosovo del Nord. La città è divisa in due: la parte nord a maggioranza serba, nonché sede di tutte le istituzioni serbe riconosciute dal governo di Belgrado; e la parte sud, invece, albanese e riconosciuta dal governo secessionista kosovaro. Entrambe le parti possiedono una loro propria amministrazione, con rispettivi sindaci, e sono fra loro collegate due ponti stradali e una passerella sul fiume Ibar, passaggi sorvegliati dalle truppe NATO della Kosovo Force (KFOR). I militari richiedono ai pedoni che venga esibito loro il passaporto, prima di lasciar (eventualmente) proseguire oltre.

Ma non è solo il fiume a dividere Kosovska Mitrovica

A Kosovska Mitrovica non è difficile imbattersi in strade sbarrate da cumuli di macerie che tengono separate le due metà. A dire il vero, quasi tutto ciò che si incontra è diviso. L’atmosfera stessa lo è, così come le lingue (serba e albanese), le nazionalità delle targhe automobilistiche (SRB e RKS), la religione (ortodossa e musulmana), il cibo, la fisionomia dei volti. Nei quartieri settentrionali, i cartelli e le insegne sono in cirillico, mentre nelle zone meridionali, sono in caratteri latini.

Persino la moneta non è la medesima: i serbi usano il dinaro e gli albanesi l’euro. Ma è una tensione palpabile soprattutto per le tante bandiere che sventolano all’interno delle rispettive roccaforti e sui muri dove campeggiano scritte che inneggiano all’indipendenza, costringono alla sudditanza o sputano sull’Europa paragonandola al nazismo. Il coprifuoco è sempre in agguato, così come i disordini, il malcontento e le occasioni di protesta. I volti? Non dei più sereni. Gli attentati? Non così infrequenti. E i turisti? Dileguati. O ben mimetizzati.

Eppure i negozi di souvenir non sono certo destinati agli abitanti del posto. Sebbene la merce, e spesso anche i proprietari, siano impolverati e abbandonati all’incuria del tempo, molto spesso si riesce a dissotterrare dagli scaffali veri e propri cimeli di un’epoca che fu. Un’epoca in cui il Kosovo faceva parte della Jugoslavia e l’orgoglio di appartenere a questa nazione superava le attuali velleità di autonomia. Mentre nel lato albanese, i souvenir sono quasi del tutto assenti, in quello serbo rappresentano un modo per affermarsi, ribadire con orgoglio le proprie origini. E non dimenticare.

Cosa si può acquistare nei negozi di souvenir serbi?

C’è l’imbarazzo della scelta. Icone ortodosse che raffigurano San Giorgio, Sant’Elia, San Demetrio, San Michele e San Giovanni, a dispetto della iconoclastia della religione islamica; oppure fiasche di grappa e acquavite, alla faccia dei musulmani che non toccano alcool; ma anche bandierine serbe, effigi di aquile serbe e spille di guerriglieri serbi, i cosiddetti četnici che tanto hanno contribuito a difendere la Jugoslavia dall’occupazione nemica nella Seconda Guerra Mondiale, quanto ad accelerare la sua disgregazione all’inizio degli anni ’90. Infine, lui. Tito. Il busto bronzeo del Maresciallo si impone, in questa cacofonia di reperti archeologici, con la sua espressione sempre arcigna, ferrea e risoluta. Ma è un imporsi inspiegabile, dal momento in cui è risaputo che i serbi non lo amano.

Tito ha tenuto insieme le varie regioni della Jugoslavia per 35 anni. Il tempo di morire, quasi 88enne, e 11 anni dopo scoppiò la guerra che divise lo Stato in 5 parti: Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia e Montenegro. Nel 1999, anche il Kosovo chiese la separazione. I serbi considerano Tito un retaggio scomodo, un fantasma del passato da archiviare, il simbolo di un unione che, da sempre, ha ostacolato il loro desiderio di egemonia. Provate a recarvi a Belgrado e a chiedere dove si trova la sua tomba: nessuno vi risponderà. Il mausoleo, un tempo presidiato dalle Forze dell’Ordine, ora giace solitario in cima alla collina che sovrasta la città.

E allora cosa ci fa un busto di Tito in vendita in un negozio di souvenir serbo a Kosovska Mitrovica? “Roba vecchia“, mi dice il negoziante sventolando la mano con aria di indifferenza. Come se il resto della merce fosse roba nuova. Evidentemente se ne vuole liberare. “È l’ultimo – aggiunge – Le conviene comprarlo perchè non ne troverà un altro in città”. Ah! Non ne dubito.



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